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L'origine del presente lavoro è da ricercarsi nella nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 23726 del 15 novembre 2007. In quanto attuato nel processo, il frazionamento giudiziario del credito unico dal punto di vista sostanziale, si trasforma automaticamente in un abuso dello strumento processuale, causando un danno non solo alla controparte, ma all'intero sistema di amministrazione della giustizia. Le sanzioni predisposte dall'ordinamento, non sono in grado di far fronte ad un fenomeno a cui quotidianamente si assiste nelle aule dei tribunali. Con tutta probabilità, la causa è da ricercarsi nel soggetto che viene colpito da tali sanzioni: la parte e non il suo avvocato. Dalla parte che agisce o resiste in giudizio non può esigersi alcuna valutazione sull'utilità e fondatezza giuridica delle scelte processuali, valutazioni che invece devono esigersi dal suo legale. Di qui, la necessità di ricostruire una responsabilità del professionista legale che si fondi sulle disposizioni del Codice deontologico forense, rilette alla luce della funzione sociale che oggi, con più forza, è riconosciuta all'avvocato dalla nuova legge professionale (legge 31 dicembre 2012, n. 247).